Partiamo dal contesto storico, la Prima Guerra Mondiale aveva sconvolto l’Europa, rimodellando confini, governi e relazioni internazionali. Nel pieno di questo caos, l’Italia si trovò a dover rivendicare i territori promessi nel Patto di Londra del 1915, tra cui il Trentino, l’Alto Adige, la Venezia Giulia e l’Istria. Tuttavia, nonostante il sacrificio e il contributo dato nel conflitto, l’Italia si trovò tradita dagli Alleati nelle trattative post-belliche. In particolare, il caso della città di Fiume divenne uno dei principali nodi irrisolti della diplomazia europea.
Fiume era una città a maggioranza italiana che, il 30 ottobre 1918, tramite un plebiscito, aveva espresso la sua volontà di far parte del Regno d’Italia. Tuttavia, le potenze vincitrici della guerra, non inclusero Fiume negli accordi finali, lasciandola in una posizione ambigua. Questo provocò una profonda delusione tra la popolazione italiana della città, la quale si sentì abbandonata a se stessa.
Fu in questo clima di incertezza e tensione che la figura di Gabriele D’Annunzio, poeta e patriota italiano (già noto per il Volo su Vienna del 9 Agosto 1918), assunse un ruolo decisivo. D’Annunzio, ben consapevole della complessa situazione internazionale e del rischio di vedere Fiume negata all’Italia, decise di prendere in mano la situazione e dare vita a un’impresa che avrebbe avuto un impatto storico straordinario.
La marcia su Fiume: un atto eroico e rivoluzionario
Il 12 settembre 1919, D’Annunzio, alla guida di un gruppo di circa 2.500 uomini, tra cui ufficiali, soldati e Arditi, si diresse verso Fiume per compiere un gesto simbolico ma potente: l‘occupazione della città. La spedizione, preparata in pochi giorni e con il sostegno entusiasta dei Granatieri di Sardegna, divenne subito leggenda. La marcia iniziò da Ronchi, città che da quel giorno sarebbe stata ribattezzata “Ronchi dei Legionari“, in onore dei partecipanti all’impresa.
All’arrivo a Fiume, alle 11,45, la popolazione accolse i legionari con un tripudio di entusiasmo: bandiere tricolori sventolavano e piogge di fiori cadevano sui soldati come segno di gratitudine. La città, in preda all’euforia, accolse D’Annunzio come un liberatore. Il Vate, soprannome che indicava il ruolo quasi profetico di D’Annunzio, si affacciò dal balcone del palazzo del Comando e pronunciò uno dei suoi discorsi più celebri. Nonostante fosse in preda a una febbre alta, il poeta pronunciò parole destinate a rimanere scolpite nella storia.
“Italiani di Fiume, eccomi!
Non vorrei pronunciare oggi altra parola. Ecco l’uomo che ha tutto abbandonato di sé e tutto ha dimenticato di sé per essere libero e nuovo al servizio della Causa bella.
Eccomi! Sono venuto per donarmi intiero. E non domando se non di ottenere il diritto di cittadinanza nella Città di Vita. Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà.
Io, io combattente mutilato, rivolgendomi alla Francia di Victor Hugo, all’Inghilterra di Milton e all’America di Lincoln, proclamo l’annessione di Fiume all’Italia!“
Con queste parole egli volle rappresentare il sacrificio e la totale dedizione alla causa di Fiume e dell’Italia. Non si trattava solo di un atto di rivendicazione territoriale, ma di una rivoluzione culturale e simbolica: Fiume, per D’Annunzio, era il simbolo della libertà e della lotta contro l’ingiustizia. Rivolgendosi alla popolazione fiumana, il poeta chiese di confermare il voto del 30 ottobre 1918, quando la città aveva già dichiarato la sua volontà di essere annessa all’Italia.
La risposta della folla fu unanime: un potente “Sì!” risuonò per le strade di Fiume, confermando il desiderio collettivo di essere parte integrante del Regno d’Italia. La proclamazione di D’Annunzio segnò un punto di svolta nella storia della città. Per mesi, il poeta e i suoi legionari mantennero il controllo di Fiume, istituendo una sorta di governo rivoluzionario che anticipava molte delle idee che avrebbero poi influenzato i movimenti politici italiani nei decenni successivi. Tuttavia, l’occupazione non fu priva di controversie e ostacoli: le pressioni internazionali e il mancato riconoscimento ufficiale da parte degli Alleati fecero sì che l’impresa di Fiume non si concludesse come D’Annunzio aveva immaginato. Nel dicembre del 1920, con il Trattato di Rapallo, Fiume fu dichiarata città libera, segnando la fine del sogno di una rapida annessione all’Italia.
Il lascito dell’impresa di Fiume
Nonostante l’epilogo, l’impresa di Fiume rimase scolpita nella memoria collettiva italiana come un esempio di eroismo e patriottismo. Gabriele D’Annunzio, con il suo gesto eclatante, riuscì a galvanizzare l’opinione pubblica italiana e a sensibilizzare il mondo sul destino di Fiume. Anche se non tutto andò secondo i piani, l’impresa rimase un simbolo di libertà e di lotta contro l’oppressione.
D’Annunzio, celebrato come il “Vate” della nazione, influenzò con le sue idee e azioni l’Italia del dopoguerra, segnando la cultura e la politica del Paese per decenni. La sua visione di un’Italia forte, orgogliosa e libera risuonò profondamente in un’epoca di incertezza e cambiamenti. Fiume, con la sua epopea, divenne un capitolo indelebile della storia italiana, ricordato non solo per l’atto militare, ma per la forza simbolica e culturale che portò con sé.