Tra resistenza e occupazione: cosa accadde davvero a Trieste e in Istria nel 1945?

Tra resistenza e occupazione cosa accadde davvero a Trieste ed in Istria nel 1945

Nell’aprile del 1945, l’Europa si apprestava a porre fine al più devastante conflitto della sua storia: la Seconda Guerra Mondiale. Mentre il Terzo Reich si sgretolava sotto l’avanzata degli Alleati, anche il fronte dell’Italia nord-orientale viveva i suoi ultimi sussulti. Le province di Trieste, Gorizia, Pola e l’intero Litorale Adriatico erano ancora segnate dall’occupazione nazista.

In questo scenario convulso, l’arrivo delle truppe partigiane jugoslave di Tito, sostenute da unità italiane della Divisione Garibaldi-Natisone, fu inizialmente salutato da una parte della popolazione e da settori dell’antifascismo come un momento di “liberazione”. Eppure, dietro a quella retorica resistenziale si celano pagine nere di deportazioni, violenze, silenzi colpevoli e complicità.
Ma cosa accadde davvero? E perché è fondamentale oggi recuperare la memoria storica integrale?
Questo articolo analizza un documento autentico del tempo, redatto dalla Divisione Garibaldi-Natisone, e riflette sulla responsabilità dei partigiani italiani filo-comunisti nella tragica occupazione jugoslava.

Il documento originale: Tito accolto come “liberatore”

Il documento che analizziamo oggi è stato prodotto dalla Divisione Garibaldi-Natisone, un reparto partigiano italo-sloveno operante nel Friuli Venezia Giulia. È datato aprile 1945, appena prima dell’occupazione jugoslava. Riportiamo integralmente il testo (la foto del volantino in fondo all’articolo):

DIVISIONE GARIBALDI-NATISONE
Comando

A TUTTI I CITTADINI DI TRIESTE E DEL LITORALE!

Di ritorno dalle aspre battaglie contro il nemico fascista, combattute in comunità d’armi assieme ai compagni sloveni, i garibaldini della nostra divisione vi porgono il loro caloroso saluto.
Vi invitano ad unirvi tutti assieme, italiani e sloveni, per esultare della grande vittoria della democrazia contro la brutale dominazione tedesca e fascista.
Vi sono ancora individui che tentano seminare discordia fra i nostri popoli, essi vogliono dividerci per meglio iniziare una nuova dominazione fascista.

QUESTI ELEMENTI SONO NUOVI FASCISTI

È necessario smascherarli e combatterli! Essi si nascondono in organismi falsamente patriottici per meglio dividere il popolo!

CITTADINI DEL LITORALE!
La fratellanza degli italiani e degli sloveni è la base per la conquista delle nostre più complete libertà democratiche popolari e per sconfiggere tutte le forze reazionarie che tentano di seminare continue discordie.
In questi giorni di festa uniamoci assieme in un sol blocco, senza distinzioni di categorie e di nazionalità per festeggiare l’avvenuta libertà.

W l’esercito del Maresciallo Tito liberatore delle nostre città
W l’unità del popolo italiano e sloveno
W l’unità d’armi fra i garibaldini e soldati dell’esercito jugoslavo.

Firmato:
Il Comandante Sasso
Il Commissario Vanni
Il Commissario Politico Bruno

Quando l’occupazione si traveste da liberazione

Questo proclama parla chiaramente: l’arrivo dell’esercito jugoslavo di Tito viene accolto con entusiasmo, considerato non come una forza straniera, ma come liberatrice. La parola “libertà” ricorre più volte, così come il richiamo all’unità tra italiani e sloveni. Ma cosa accadde davvero nei 42 giorni successivi all’ingresso degli jugoslavi a Trieste?

Dal 1 maggio al 12 giugno 1945, l’esercito titino instaurò un regime di terrore. Triestini, goriziani, istriani e dalmati furono deportati nei campi della morte in Jugoslavia. Migliaia non fecero mai più ritorno. Le foibe, già attive dal 1943, divennero simbolo di una violenza cieca, ideologica e anti-italiana.

Complicità taciute: la responsabilità dei partigiani italiani

Il documento della Divisione Garibaldi-Natisone, affiancato alle azioni concrete dei partigiani filo-comunisti, evidenzia una verità scomoda: la complicità italiana nell’occupazione jugoslava. Il proclama inneggia all’esercito titino, lo chiama “liberatore” e invita la popolazione ad accoglierlo. Nessun accenno ai pericoli, nessun avvertimento sulle reali intenzioni di Tito. Il tono di questo testo è chiaramente celebrativo nei confronti dell’esercito jugoslavo e della sua azione nella regione. Ma proprio questa esaltazione, oggi, ci spinge a porre domande più scomode: si trattò davvero di liberazione?

Questa complicità viene denunciata anche dalla pagina ufficiale dell’Unione degli Istriani: “La complicità dei partigiani comunisti italiani ha di fatto contribuito alla deportazione ed alla morte di migliaia di triestini e goriziani, nei famigerati 42 giorni di occupazione (1 maggio – 12 giugno 1945), mascherata da ‘liberazione’. E, finora, nessuno ha chiesto scusa, nessuno si è mai pentito.”

Il silenzio delle istituzioni e il rifiuto di affrontare questi eventi con onestà storica hanno aggravato una ferita mai rimarginata. Troppe volte, chi prova a raccontare questa verità viene accusato di revisionismo.

L’occupazione jugoslava: i 42 giorni di terrore

Subito dopo la ritirata delle truppe naziste, l’esercito di Tito entrò a Trieste il 1° maggio 1945. Ci rimase fino al 12 giugno dello stesso anno. In questi 42 giorni  si verificarono:

  • Deportazioni sistematiche di cittadini italiani verso la Jugoslavia.
  • Esecuzioni sommarie e sparizioni forzate.
  • Riempimento delle foibe con centinaia di corpi.

Fu un’operazione politica e militare tesa a “epurare” la regione da ogni elemento potenzialmente oppositore all’annessione jugoslava; tra le vittime non vi erano solo ex fascisti o collaborazionisti, ma anche civili innocenti, intellettuali, sacerdoti, insegnanti, uomini delle istituzioni.

Lungi dall’essere una semplice fase di transizione o di giustizia post-bellica, l’occupazione jugoslava fu un vero regime di terrore.

Il ruolo dei partigiani italiani: connivenza o ingenuità?

La Divisione Garibaldi-Natisone non fu un’entità marginale: essa operava in stretto coordinamento con l’esercito jugoslavo. Il proclama riportato non lascia spazio a dubbi sul suo orientamento: l’ideologia comunista pan-slava veniva abbracciata come chiave per una nuova democrazia popolare.

Nel testo,infatti, si legge:
“La fratellanza degli italiani e degli sloveni è la base per la conquista delle nostre più complete libertà democratiche popolari.”

Un linguaggio che echeggia direttamente la retorica jugoslava di quegli anni.

Ma questa fratellanza fu davvero paritaria? I fatti suggeriscono il contrario: mentre l’esercito jugoslavo pianificava l’annessione forzata della Venezia Giulia, i partigiani italiani — soprattutto quelli di fede comunista — sembravano assecondare questo piano. Non si trattò solo di un errore politico, ma di una vera complicità ideologica che, di fatto, rese possibile la deportazione e la morte di migliaia di italiani.

La forza dei documenti autentici

È in questo contesto che assume particolare valore la scelta di mostrare documenti autentici, come quello sopra riportato. Contro le mistificazioni, contro le versioni edulcorate o strumentalizzate della storia, la forza della carta scritta è innegabile. Questo proclama, pur nella sua enfasi ideologica, dimostra l’esistenza di un’adesione, se non esplicita, quantomeno ideologica, alla penetrazione jugoslava nella Venezia Giulia.

L’obiettivo? Integrare quei territori nella nascente Jugoslavia comunista di Tito, cancellando ogni identità italiana, sia fisicamente che culturalmente.

Difendere la verità storica, sempre

Nessuno ha chiesto scusa. Nessuno si è mai pentito.
Ecco perché è fondamentale continuare a parlare, ricordare, condividere. Il rischio dell’oblio è sempre dietro l’angolo, alimentato da chi vorrebbe ridurre queste tragedie a note a piè di pagina. Le vittime delle foibe, i deportati mai tornati, le famiglie spezzate meritano rispetto. E la storia, per essere tale, deve essere completa. Non solo quella dei vincitori.

La foto del Documento:
Documento Divisione Partigiana Geribaldi Natisone Aprile 1945