L’annessione di Fiume all’Italia, avvenuta ufficialmente con il Trattato di Roma il 27 gennaio 1924, rappresenta un capitolo significativo nella storia europea del primo dopoguerra, segnando non solo il destino di una città, ma anche le relazioni tra l’Italia e il neonato Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (in seguito Jugoslavia). Questo evento si inserisce in un contesto storico complesso, caratterizzato da tensioni nazionalistiche, aspirazioni irredentiste e le profonde cicatrici lasciate dalla Prima Guerra Mondiale.
Il periodo immediatamente successivo al conflitto vide l’Europa impegnata in un difficile processo di ricostruzione e rinegoziazione degli equilibri territoriali. Il Trattato di Versailles, che pose ufficialmente fine alla guerra, non riuscì a risolvere molte delle questioni nazionali e territoriali che continuarono a fomentare tensioni nel continente. In questo scenario, la Questione di Fiume emerse come uno dei tanti “problemi irrisolti” del dopoguerra, diventando simbolo delle difficoltà di conciliare le diverse aspirazioni nazionali con la realtà geopolitica post-bellica.
Fiume, con la sua posizione strategica sull’Adriatico e la sua miscela unica di culture e identità, divenne il fulcro di un’intensa disputa tra l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. L’impresa fiumana guidata da Gabriele d’Annunzio nel 1919, che vide il poeta e i suoi legionari occupare la città in un audace gesto irredentista, aveva già attirato l’attenzione internazionale sulla questione di Fiume e sull’insoddisfazione italiana per i risultati del Trattato di Versailles, percepiti come una “vittoria mutilata“.
Il Trattato di Roma del 1924 tentò di porre fine a questa situazione incerta, assegnando il controllo del centro storico di Fiume e di una striscia di terra costiera all’Italia per garantire la continuità territoriale, mentre la sovranità su altre parti del territorio circostante fu trasferita al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. L’annessione di Fiume all’Italia segnò la fine del capitolo della lunga contesa irredentista italiana, essendo la città storicamente di cultura italiana, ma aprì anche una nuova fase di relazioni italo-jugoslave, caratterizzata da una fragile convivenza.
Il cammino verso l’annessione
Il ruolo del Trattato di Roma
Il Trattato di Roma, firmato il 27 gennaio 1924, si pone come un momento cardine nel cammino che ha portato all’annessione di Fiume all’Italia, segnando una svolta decisiva nelle complesse vicende territoriali e politiche del dopoguerra europeo. Questo accordo bilaterale tra il Regno d’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni fu il risultato di lunghe trattative e di un contesto internazionale in cui le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale cercavano di ridefinire gli equilibri territoriali in Europa, in un tentativo di stabilizzare un continente ancora segnato dalle ferite del conflitto.
Nel tessuto di questo intricato scenario post-bellico, il Trattato di Roma rappresentò una soluzione diplomatica a una delle questioni più contese: il destino di Fiume, una città dal profondo valore simbolico e strategico. Fiume, infatti, era diventata l’epicentro di tensioni nazionalistiche e irredentiste, alimentate da anni di rivendicazioni e da un senso di ingiustizia percepito da parte italiana. La sua posizione geografica, all’incrocio di importanti vie commerciali e al confine tra diverse entità statali emergenti, la rendeva un nodo cruciale per le aspirazioni territoriali italiane e slave.
Il Trattato di Roma cercò di risolvere la questione di Fiume attraverso un compromesso che rifletteva le pressioni e gli equilibri di potere dell’epoca. Con questo accordo, l’Italia ottenne il controllo del centro storico di Fiume e di una stretta fascia di territorio costiero, indispensabile per assicurare la continuità territoriale dello stato italiano lungo l’Adriatico. Tale disposizione intendeva soddisfare le rivendicazioni irredentiste italiane, garantendo al contempo un accesso al mare per le popolazioni slavo-jugoslave attraverso la cessione di altre parti del territorio circostante, come il delta dell’Eneo e la zona di Porto Barros.
La firma del Trattato di Roma fu quindi il culmine di un lungo processo di negoziazione che coinvolse attori nazionali e internazionali, riflettendo le complessità e i compromessi che caratterizzarono il periodo post-prima guerra mondiale. L’accordo non fu solo un atto amministrativo di ridefinizione dei confini, ma anche un simbolo del tentativo di costruire una pace duratura attraverso il dialogo e il compromesso, in un’epoca segnata da profondi cambiamenti e instabilità.
La dimensione culturale e politica
L’eredità di Gabriele D’Annunzio
L’eredità di Gabriele d’Annunzio a Fiume è una tessera mosaica nella complessa storia della città e dell’Italia. La sua impresa fiumana, iniziata nell’autunno del 1919, si configura non solo come un atto di audace irredentismo, ma anche come un laboratorio politico e culturale dalle risonanze profonde e durature. D’Annunzio, figura poliedrica di poeta, condottiero e visionario, trasformò la città in un simbolo vivente delle aspirazioni italiane post-prima guerra mondiale.
Attraverso l’occupazione di Fiume, D’Annunzio cercava di correggere quello che percepiva come un’ingiustizia del Trattato di Versailles, che aveva negato all’Italia piena soddisfazione delle sue rivendicazioni territoriali, nonostante il sangue versato. La sua azione non fu solo militare, ma anche fortemente simbolica: Fiume doveva rappresentare la riscossa di un’Italia forte, orgogliosa, capace di affermare i propri diritti sullo scenario internazionale.
Sotto la guida di D’Annunzio, Fiume divenne un punto di riferimento per intellettuali, artisti, soldati e avventurieri, attratti dalla promessa di un nuovo ordine basato su valori di libertà, innovazione e fratellanza. La Carta del Carnaro, promulgata a Fiume sotto il suo regime, è stata una delle costituzioni più avanzate e sperimentali del suo tempo, incorporando elementi di democrazia diretta, corporativismo e persino proto-welfare, anticipando alcune delle ideologie e delle strutture politiche che avrebbero caratterizzato l’Europa del XX secolo. La sua avventura fiumana ha alimentato il fuoco dell’irredentismo italiano.