Amazzonia digitale, il popolo Suruí tra tradizione e tecnologia per difendere la foresta

Giuseppe Sartore

Giugno 19, 2025

Amazzonia digitale, il popolo Suruí tra tradizione e tecnologia per difendere la foresta

Tra tradizione e tecnologia, un popolo amazzonico riscrive il futuro del territorio. E la geopolitica verde assume un nuovo volto.

Nel cuore della foresta amazzonica brasiliana, una tribù affronta uno dei paradossi più emblematici del nostro tempo: difendere la propria identità ancestrale con strumenti della modernità globale. I Suruí, popolo indigeno dello Stato di Rondônia, da anni combattono la devastazione ambientale con tablet, droni e dati satellitari. Ma la loro non è una favola postmoderna: è una battaglia geopolitica silenziosa, che coinvolge interessi transnazionali, modelli economici estrattivi e i limiti della sovranità statale.

In un contesto in cui l’Amazzonia è diventata teatro di negoziati climatici, interessi minerari, traffici illegali e diplomazia internazionale, l’uso della tecnologia da parte dei popoli nativi rappresenta una nuova forma di autodeterminazione. E trasforma l’indigeno da oggetto di tutela a soggetto politico attivo nello scacchiere mondiale.

La tecnologia come strumento di autodifesa

Nel villaggio degli Suruí, la connessione internet è instabile, ma sufficiente per caricare immagini georeferenziate e ricevere mappe aggiornate. I giovani imparano a pilotare droni per documentare disboscamenti illegali e incendi dolosi. I dati raccolti vengono poi condivisi con ONG internazionali e istituzioni accademiche. Il messaggio è chiaro: la foresta non è solo un ecosistema, è una mappa vivente di diritti, cultura e resistenza.

Questa sinergia tra scienza e tradizione non è episodica. Dal 2018, diverse comunità indigene brasiliane hanno sottoscritto protocolli di monitoraggio ambientale. In alcuni casi, hanno persino rifiutato progetti di compensazione climatica (come il carbon trading) perché percepiti come nuove forme di colonizzazione verde.

Geopolitica della foresta: oltre il Brasile

L’Amazzonia non appartiene solo al Brasile. È un bene strategico globale, che coinvolge altri otto Paesi e attira fondi europei, investimenti cinesi, e trattative nel quadro delle COP. I Suruí – come altre popolazioni indigene – sono diventati interlocutori politici tanto quanto le cancellerie occidentali. Non a caso, il presidente Lula li ha reintegrati nel piano d’azione climatica del Brasile dopo gli anni oscuri del bolsonarismo, segnati da un’escalation della deforestazione e della criminalizzazione indigena.

In questo scenario, la conoscenza indigena diventa un asset geopolitico, non solo simbolico ma operativo. La capacità di mappare il territorio, documentarne le trasformazioni e denunciarne l’uso improprio offre strumenti nuovi anche alla diplomazia multilaterale.

Il futuro della sovranità: digitale, distribuito, radicale

La vicenda dei Suruí apre una questione più ampia: chi ha diritto di decidere il destino della foresta?. Lo Stato nazionale? Le multinazionali? Gli attori climatici? O le popolazioni che da secoli ne custodiscono i ritmi, le medicine, i codici?

Nel momento in cui il concetto di “sovranità” viene scosso dalla crisi climatica e dalla governance algoritmica, le forme di controllo indigene – non centralizzate, non burocratizzate, ma profondamente ecologiche – possono suggerire nuovi modelli di coesistenza. In questo senso, l’uso della tecnologia è meno una conversione al moderno che un’estensione del proprio universo culturale.

“Se i bianchi usano i satelliti per sfruttare, noi li usiamo per proteggere. La differenza non è nel mezzo, ma nella visione.”

Amazonia e AI: il rischio dell’appropriazione digitale

C’è però un lato oscuro. Alcuni strumenti di intelligenza artificiale vengono oggi addestrati anche con dati ambientali raccolti da comunità locali, spesso senza consenso informato. Il rischio di “colonialismo algoritmico” è reale, e le stesse tecnologie che oggi aiutano la protezione potrebbero diventare leve per espropri più sofisticati.

Serve quindi una riflessione etica, giuridica e politica che accompagni questa transizione. Alcune ONG propongono licenze di uso dei dati indigene, sul modello delle Creative Commons, per impedire che la conoscenza locale venga monetizzata senza ritorno sociale.

Una sfida aperta

I popoli dell’Amazzonia stanno ridisegnando la geopolitica dal basso, incrociando oralità e droni, ritualità e reti Wi-Fi. Non chiedono di essere integrati, ma di essere ascoltati. E ci stanno dicendo che il futuro della terra – e dei diritti – passa anche da qui, dove il verde non è solo un colore, ma una frontiera.